Siamo tutti oggetto di manipolazione e disinformazione organizzata. Le
notizie sono semplici fatti, sta a chi informa diffonderle o
manipolarle. La narcolessia mediatica è proprio quella che ci
propina chi oscura e manipola il mondo dell'informazione.
Cercare di uscire da questo sistema perverso è dovere
di qualsiasi essere pensante.
La dedica della settimana
Fatta l'Italia ora dobbiamo fare gli italiani, avrebbe detto Massimo D'Azeglio all'alba dell'unità d'Italia, osservando la natura forzata dell'unificazione italiana, più aggressione a uno Stato che risorgimento vero. Il motto potrebbe essere tranquillamente trasposto all'Europa e a quel progetto di integrazione e unificazione che col tempo si è sviluppato, forse di più rispetto alle reali iniziali intenzioni e che comunque, nonostante tutte le divisioni e le differenze, ha raggiunto un grande e apparentemente impossibile obiettivo, quello cioè di pacificare un continente sempre diviso tra nazioni bellicose e diffidenti tra loro, causa delle due più grandi guerre della storia recente.
Un'unione di pochi stati, che si è allargata sempre di più in risposta alla guerra fredda e alla cortina di ferro, ha poi accolto i Paesi dell'Europa dell'est. Parliamo di libera circolazione delle persone, di merci, di mercati, di economie e di un'unica moneta, l'Euro. L'Europa unita è stato un grande passo per il continente, una grande rivoluzione però è rimasta incompiuta, perché non è mai riuscita a staccarsi dagli egoismi dei singoli stati. Non si è mai avuto il coraggio di una vera politica europea.
Più che fare gli europei bisognerebbe creare un vero sentire comune europeo, lontano dagli egoismi dei singoli Stati, tale da costringere quelli più evoluti a mettere in condivisione anche il loro benessere.
La questione delle migrazioni e soprattutto quella greca ne sono il manifesto. Siamo arrivati a quel punto di rottura del progetto europeo, una situazione ormai insostenibile e pronta a esplodere.
Col referendum i greci decideranno il loro futuro, la propaganda politica sta strumentalizzando queste decisioni come se fossero un sì o un NO all'Europa. In realtà non è così.
Anche se vincesse il NO la Grecia non sarebbe fuori dall'Euro, non sarebbe fuori dall'Europa. Non potrebbe essere estromessa, perché non esiste una via d'uscita dall'Euro.
Contro ogni mistificazione e strumentalizzazione La dedica della settimana n. 13 è per la Grecia e il suo popolo, chiamato a prendere una decisione troppo grande, in un referendum che forse non si sarebbe dovuto indire, perché il futuro stesso dell'Europa è appeso a un filo e le decisioni prese di pancia e cavalcate dalla demagogia fanno solo male.
L'insufficienza europea
Il debito greco che secondo Fitch ammonta a 302 miliardi di euro è, come era prevedibile, arrivato al collasso. Anni di politiche della Troika imposte a Governi silenti e conniventi hanno portato un'economia già insussistente al collasso. Quando si parla di riforme richieste dall'Europa e dalla Troika per poter avere ancora prestiti e pagare le rate e gli interessi, significa accettare tagli alla spesa pubblica, tagli alla sanità, tagli e aumenti dell'età pensionabile, liberalizzazione dei vari settori pubblici. In sostanza, quello che l'Europa chiede è un ulteriore salasso e sacrificio ai cittadini greci già sull'orlo della bancarotta. Perché dall'esterno possiamo solo trattare di numeri, ma si ignorano le sofferenze di tante persone, che hanno poi nessuna responsabilità su quello che sta succedendo. Una via d'uscita di questo genere dalla crisi non è più ipotizzabile, per un Paese portato in un punto di non ritorno da responsabilità che vanno divise tra classe politica indegna e istituzioni europee.
Sì, perché è noto che la Grecia avesse i conti truccati all'entrata nell'Euro, era noto che l'evasione fiscale e il sistema pensionistico fossero insostenibili, era noto che tutti quei soldi concessi non potevano essere ripagati. Era noto che il tenore di vita di un'economia povera non poteva essere mantenuto e che l'impianto economico e produttivo fosse inadeguato per poter entrare in un'Europa fatta solo di mercato e null'altro. Perché di questo siamo fatti, di burocrazia e indici numerici. Mentre un intero Paese viveva grazie al flusso di capitali arrivato irresponsabilmente negli anni. Quella valanga di denaro finita nelle casse dei politici che hanno continuato a svendere un intero Stato e un intero popolo prima di affossarlo definitivamente con accordi insostenibili.
La vittoria di Tsipras è stato un segnale forte, in un Paese poco incline alla spinta di sinistra. Syriza è stata una voce fuori dal coro e fino a ora lo aveva dimostrato con i negoziati.
Poi c'è stata la scelta del referendum.
Referendum, sì o no
La scelta del referendum rappresenta una minaccia sia per l'Europa che per la Grecia stessa. La decisione di Tsipras è per me una scelta non condivisibile, perché lasciare al voto una decisione che dovrebbe essere tecnica, in quanto frutto di scenari di negoziazione, di proposte (non ci sono versioni ufficiali) e di gioco delle parti che invece così sono suscettibili di strumentalizzazione. Perché ora il popolo greco è sottoposto a un vero e proprio ricatto che ha trasformato una decisione, parte di un lungo e importante negoziato, in un sì o un no all'Euro. Con la scelta di sottoporre il referendum Tsipras si è spogliato del peso di una decisione, che invece doveva prendere grazie alla netta investitura democratica con il voto di qualche mese fa. Ti avevo già parlato qui di Grecia e della possibilità che poteva rappresentare la vittoria di Syriza. Invece, la decisione di indire un referendum rappresenta un vero e proprio suicidio politico, capace di far risorgere in piazza i partiti di Neo democrazia e Pasok che sono stati i grandi responsabili della situazione greca di questi ultimi venti anni e che ora stanno ritrovando la voce.
Se vince il sì, oltre all'accordo in forma peggiore per i greci, Tsipras avrebbe, con una sola mossa, fatto rinascere i partiti "responsabili" dati per morti e fatto il gioco della Troika, che già lavorava indirettamente per sovvertire il voto democratico.
Gli scenari in caso di vittoria del no invece sono quelli più fantasiosi, perché nella realtà nessuno sa cosa potrebbe accadere realmente. La propaganda elettorale dei fautori del sì ha trasformato il voto in favore o contro l'Europa, ma in realtà non è così. Il NO sarebbe un voto contro a questo tipo di Europa, una forzatura contro un tipo di decisione che non mira a una ripresa, ma soltanto a punire un intero popolo.
È chiaro che l'economia greca non potrà mai ripagare il suo debito, sarebbe da scellerati pensarlo. Ridurre tutto a indici economici quando un intero Paese è sull'orlo del collasso significa stringere ancora di più il cappio al collo.
Un'Europa fatta di egoismi, in cui si guarda prima al proprio orticello e poi al benessere comune non ha nessun senso di esistere. La soluzione europea in salsa tedesca andrà bene per la Germania o per le altre economie avanzate che hanno la forza anche di non pagare i propri debiti, ma non per economie povere come quella greca.
La Grecia fuori dall'Europa non può esistere, perché finirebbe ai margini come economia di sussistenza o peggio ancora nell'orbita di Russia o Cina. Si chiede il conto ai cittadini greci, per un Paese che conta solo il 2% del pil
dell'intera Ue e che vive solo di importazioni e turismo e senza un vero
impianto industriale.
Ugualmente, un'Europa senza Grecia dimostrerebbe una falla nel sistema, inaccettabile, un virus che si espanderebbe sulle altre economie in crisi. La prossima potrebbe essere il Portogallo, o la Spagna, o magari l'Italia e sarebbe la fine dell'Euro.
Siamo all'inizio di un futuro di grande incertezza, l'ennesimo, la storia è ciclica.
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