La minaccia di esuberi in Almaviva passa nella totale indifferenza delle istituzioni e dei media e fuori ai centri Wind scatta la protesta.
La corsa all'uscita dell'Italia dalla crisi sta scatenando un circolo vizioso.
La crisi del nostro Paese non è soltanto economica, occupazionale, industriale o di competitività, in Italia, la crisi è prima di tutto culturale.
Questo dato di fatto si palesa in tanti aspetti della vita quotidiana e colpisce in maniera rilevante anche il mondo dell'informazione, che dovrebbe formare l'opinione pubblica.
L'informazione italiana guidata dai due o tre colossi, ha grosse responsabilità nella caduta nel baratro sociale del nostro Paese. Infatti, i maggiori organi di informazione "trascinano" gli altri verso le notizie che decidono essere più rilevanti e sostanzialmente scelgono quali argomenti trattare e quali no.
A volte, ci si occupa di determinate problematiche perché le si considera più capaci di aggregare consenso o "dissenso pilotato" nel pubblico, altre volte invece, si utilizzano determinate notizie o fatti per strumentalizzare la problematica a fini di pressione politica o propagandistica.
Invece, si può ignorare un determinato problema, perché considerato pericoloso e scomodo agli occhi dell'editore o del referente politico che sostiene la trasmissione o la testata.
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Le istituzioni si comportano nello stesso modo, cavalcano l'onda mediatica e affrontano il problema quando questo diventa di dimensioni insostenibili, tali da far indispettire l'elettorato.
L'intervento diventa quindi necessario, altrimenti, si rischia di perdere consenso.
È del tutto evidente che in Italia esistano crisi considerate di serie A e crisi di serie B.
Quello che sta avvenendo in Almaviva, che coinvolge tutto il mondo del call center, è una problematica che sta interessando poco le istituzioni e i media (eccetto alcuni) e quindi è considerata di seconda fascia.
Lo ha dimostrato la diretta di martedì sera della trasmissione Ballarò che, dedicando solo pochi minuti alle parole dei lavoratori in diretta dall'azienda, ha preferito dar voce alle parole fumose della politica piuttosto che a quelle costruttive o di rabbia dei lavoratori
Ma procediamo per gradi