giovedì 26 febbraio 2015

La crisi Almaviva ai tempi delle delocalizzazioni e del Jobs act (e di Ballarò)

La minaccia di esuberi in Almaviva passa nella totale indifferenza delle istituzioni e dei media e fuori ai centri Wind scatta la protesta.

 


La corsa all'uscita dell'Italia dalla crisi sta scatenando un circolo vizioso.
La crisi del nostro Paese non è soltanto economica, occupazionale, industriale o di competitività, in Italia, la crisi è prima di tutto culturale.
Questo dato di fatto si palesa in tanti aspetti della vita quotidiana e colpisce in maniera rilevante anche il mondo dell'informazione, che dovrebbe  formare l'opinione pubblica.

L'informazione italiana guidata dai due o tre colossi, ha grosse responsabilità nella caduta nel baratro sociale del nostro Paese. Infatti, i maggiori organi di informazione "trascinano" gli altri verso le notizie che decidono essere più rilevanti e sostanzialmente scelgono  quali argomenti trattare e quali no.
A volte, ci si occupa di determinate problematiche perché le si considera più capaci di aggregare consenso o "dissenso pilotato" nel pubblico, altre volte invece, si utilizzano determinate notizie o fatti per strumentalizzare la problematica a fini di pressione politica o propagandistica.
Invece, si può ignorare un determinato problema, perché considerato pericoloso e scomodo agli occhi dell'editore o del referente politico che sostiene la trasmissione o la testata.

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Le istituzioni si comportano nello stesso modo, cavalcano l'onda mediatica e affrontano il problema quando questo diventa di dimensioni insostenibili, tali da far indispettire l'elettorato. 
L'intervento diventa quindi necessario, altrimenti, si rischia di perdere consenso.

È del tutto evidente che in Italia esistano crisi considerate di serie A e crisi di serie B.
Quello che sta avvenendo in Almaviva, che coinvolge tutto il mondo del call center, è una problematica che sta interessando poco le istituzioni e i media (eccetto alcuni) e quindi è considerata di seconda fascia.

Lo ha dimostrato la diretta di martedì sera della trasmissione Ballarò che, dedicando solo pochi minuti alle parole dei lavoratori in diretta dall'azienda, ha preferito dar voce alle parole fumose della politica piuttosto che a quelle costruttive o di rabbia dei lavoratori

Ma procediamo per gradi

giovedì 19 febbraio 2015

Libia, Isis e Italia, la paura corre tra terrorismo islamico e quello mediatico

Si parla di terrorismo internazionale, mediatico e di regime, forme diverse della medesima minaccia.
In questi giorni è palpabile e visibile la tensione per il pericolo che sembra incombere sul nostro Paese dalla Libia, i tg annunciano venti di guerra.
Si sprecano discorsi interventisti e guerrafondai di menti troppo giovani per ricordarsi i dolori della guerra vista solo da lontano.
Ma quanto è reale la minaccia ai nostro confini?
 

Il pericolo della Libia

Ci si chiede come si sia arrivati a questo punto, quando cioè, la minaccia della Libia sia diventata così seria mentre gli occhi di tutti erano puntati sui barconi dei migranti, sull'Ucraina e per dirla banalmente sul Festival di Sanremo.

I media documentano ora i giorni di terrore, montano la campagna mediatica con l'Isis a 800 km dalla Sicilia e il pericolo dell'invasione dei terroristi, nascosti tra i migranti, dopo l'attacco dell'Egitto alla Libia. Terrorismo mediatico che insensatamente sta spingendo verso un intervento armato che farebbe deflagrare il pericolo terrorismo anche nel Mediterraneo.


Possibile però che in pochi ricordino che la situazione drammatica in cui si trova questo Paese ormai fallito, l'ha creata l'occidente?