sabato 28 ottobre 2017

Il limite dell'autodeterminazione dei popoli nell'aspirazione indipendentista catalana

In queste giorni è tornato di grande attualità il tema del principio di autodeterminazione dei popoli con le dichiarazioni di indipendenza da parte della Catalogna e del Kurdistan, velocemente annullate dalle autorità centrali. Entrambi i contesti sono comunque ancora in divenire e tanti sono i timori della comunità internazionale.


Nel caso del Kurdistan le autorità di Baghdad sono intervenute con l'esercito per rioccupare Kirkuk e i centri economicamente più importanti dell'area, anche se non sono ancora chiari i risvolti futuri della situazione. In ogni caso per la questione curda è sempre alto il rischio di uno scontro armato tra le parti, rappresentando uno dei temi centrali caratterizzanti l'instabilità mediorientale. Il caso della Catalogna è invece decisamente diverso: fino a ora lo scontro è stato soprattutto verbale (eccetto le violenze perpetrate dalle forze di polizia il giorno del referendum illegale nei confronti della popolazione che voleva votare). Anche qui la situazione procede in un modo altamente confusionario, con Presidente e governo della Generalitat, che hanno approvato la dichiarazione indipendenza della Catalogna, autoproclamatasi Repubblica catalana, dopo un lungo conciliabolo.

Sia in Kurdistan che in Catalogna, comunque, sono subito esplose grandi manifestazioni di gioia dentro e fuori le assemblee. Manifestazioni poi trasformatesi in rabbia visto l'intervento delle autorità centrali.

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La questione spagnola

In Spagna, il Senato spagnolo ha prontamente risposto con il via libera all'articolo 155, e l'affidamento dell'incarico a Mariano Rajoy di commissariare la Generalitat catalana e azzerare l’autonomia della regione.


sabato 21 ottobre 2017

Che sta accadendo in Myanmar ai Rohingya?

Continuano le persecuzioni in Myanmar nei confronti della minoranza etnica musulmana Rohingya con oltre mezzo milione di persone in fuga. 

Dei Rohingya avevo già parlato un po’ di tempo fa, quando la persecuzione da parte delle autorità militari birmane aveva provocato la diaspora di quelli che sono spesso descritti come "la minoranza più perseguitata del mondo". Viste le poche attenzioni che l’opinione pubblica in questi anni riesce a dedicare a questo popolo, vediamo di spiegare chi sia questa popolazione in fuga. 



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I Rohingya sono un gruppo etnico, la maggioranza dei quali musulmani, vissuto per secoli nel Myanmar, Stato a maggioranza buddista. Oltre che per la religione, si distinguono per il dialetto parlato, il Rohingya o Ruaingga. Quasi tutti i Rohingya del Myanmar vivono nello stato di Rakhine, uno degli stati più poveri del Paese, in cui è forte la mancanza di servizi di base. Attualmente, ci sono circa 1,1 milioni di Rohingya che vivono nel paese del sud-est asiatico, la loro condizione non è riconosciuta visto che non sono considerati uno dei 135 gruppi etnici ufficiali del paese, oltre all'essersi visti negati dal 1982 anche la cittadinanza del Myanmar. Sono quindi sostanzialmente apolidi e non possono lasciare il Paese senza permesso del governo.  

Eppure i Rohingya abitano la regione del Myanmar da secoli. Infatti, secondo molti storici e gruppi di Rohingya,. i musulmani hanno vissuto nella zona ora conosciuta come Myanmar sin dal 12 ° secolo. 

Le loro condizioni sono comunque tanto difficili, a causa di uno stato di persistente violenza e persecuzione, che centinaia di migliaia sono fuggiti nei paesi limitrofi sia via terra, sia attraverso il mare nel corso di decenni.


I perché delle persecuzioni



Poco dopo l'indipendenza di Myanmar dagli inglesi nel 1948, è stata approvata la Legge sulla cittadinanza dell'Unione, definendo quali etnie potessero ottenere la cittadinanza da cui furono esclusi i Rohingya, anche se, fu permesso a coloro i cui familiari avevano vissuto in Myanmar per almeno due generazioni di richiedere il documento d'identità. Fu riconosciuta l’identificazione di Rohingya e alcuni di loro poterono lavorare anche in parlamento. La situazione cambiò dopo il colpo di stato militare del 1962, quando fu stabilito l’obbligo per tutti i cittadini di di registrarsi presso i registri nazionali, mentre i Rohingya venivano considerati stranieri, status che limitava l’accesso ai posti di lavoro e alle opportunità educative.
Con la legge sulla cittadinanza del 1982 la situazione peggiorò ancora di più con il mancato riconoscimento di status per i Rohingya, che per legge furono esclusi dal riconoscimento tra i 135 gruppi etnici del paese. Come conseguenza della legge, ci fu la limitazione dei loro diritti a studiare, lavorare, viaggiare, sposarsi, praticare la propria religione e accedere ai servizi sanitari. 

lunedì 16 ottobre 2017

La Catalogna alle prese con l'indipendenza più breve di sempre e appare sempre più probabile il ricorso di Madrid all'articolo 155

La risposta di Pugdemont all'ultimatum di Rajoy è sostanzialmente una non risposta che si risolve in un contro ultimatum che appare irricevibile. sempre più probabile l'articolo 155 che pone grandi interrogativi sul futuro dell'indipendenza Catalana



La dichiarazione di indipendenza più breve della storia. Un’indipendenza di pochi minuti che ha illuso il popolo catalano, o almeno quelli desiderosi dell'indipendenza, che una svolta storica stesse avvenendo.In realtà la situazione è tanto più incerta e confusa che mai, dopo dichiarazioni incerte conseguenza di un referendum farlocco, se con il termine si vuole intendere che quel referendum non avesse alcun valore, come di poco valore è stata la campagna mediatica strumentalizzata e dichiarazioni  che hanno fatto più danni che altro. La conseguenza è essere arrivati allo scontro.
Dalle ultime indiscrezioni fornite da El Confidencial, il presidente regionale Carles Puigdemont nelle prossime non chiarirà la questione posta da Rajoy in merito all'aver o meno dichiarato l'indipendenza, ma anzi, porrà una sorta di "controultimatum" di due mesi al primo ministro spagnolo, in cui sempre secondo le fonti di El Confidencial vorrebbe chiedere un confronto da pari a pari con Madrid per la risoluzione del conflitto aggiungendo come condizioni essenziali il ritiro degli oltre 12.000 agenti delle forze speciali, oltre alla sospensione delle accuse mosse nei confronti del capo dei Mossos d'Esquadra Josep Lluís Trapero. Richieste che appaiono ai più improponibili.


sabato 14 ottobre 2017

Rosatellum bis: ma la legge elettorale è davvero così importante?


Tra chi evoca modi da regime e chi denuncia il solito inciucio, non sarà una nuova legge elettorale a cambiare le sorti dell'Italia


Ci risiamo, elezioni alle porte, governo “nuovo” (si fa per dire), legge elettorale nuova. Se l’anno scorso, il 2016, era stato monopolizzato dalle polemiche sull’Italicum e da tutti i bei cambiamenti che avrebbe portato, modifica della Costituzione compresa, con la riforma costituzionale poi affossata nel referendum del 4 dicembre, nel 2017 abbiamo il Rosatellum, che porta il nome di Ettore Rosato, capogruppo del Partito Democratico alla Camera dei deputati. La nuova legge, nella versione modificata dopo le polemiche nel corso di questi mesi, è stata approvata alla Camera con anche il voto di fiducia e nei prossimi giorni passerà al vaglio del Senato per poi diventare legge.

Tante polemiche, urla e accuse di "fascistellum", come al solito si tira fuori l'improprio paragone con il regime fascista.

Siamo un Paese da legge elettorale


La polemica sulla legge elettorale è una delle questioni che più appassiona e infervora il dibattito politico italiano. Sono anni che le maggioranze liquide che costellano la storia parlamentare italiana, si colpiscono a suon di leggi elettorali. La questione è comunque diventata ancor più spinosa negli ultimi decenni, anche perché se dalla caduta del regime fascista e dalla nascita della Repubblica Italiana, nel 1946, fino al 1993 lo svolgimento delle elezioni politiche italiane era stato regolato da una legge proporzionale classica (con modifiche apportate nel corso del tempo), dalla fine della prima Repubblica in poi, si è avuto un dibattito costante e continuo su leggi elettorali cambiate e da cambiare. In 150 anni di storia unitaria si sono avute 12 formule elettorali diverse, tre solo negli ultimi quindici anni con le leggi elettorali Mattarellum, la Calderoli, e l’Italicum poi cancellato con il referendum, a breve si avrà una quarta legge. Bisogna alquanto sottolineare come una legge che rappresenta una questione tecnica consistente nella formula elettorale che serve a il meccanismo di traduzione dei voti in seggi, sia una questione senza soluzione. 

Cerchiamo di chiarire un concetto:
Non è la legge elettorale a rendere un sistema disfunzionale o fallimentare, ma è la classe dirigente e l'opinione pubblica a renderlo tale.
Vediamo perché.