giovedì 19 febbraio 2015

Libia, Isis e Italia, la paura corre tra terrorismo islamico e quello mediatico

Si parla di terrorismo internazionale, mediatico e di regime, forme diverse della medesima minaccia.
In questi giorni è palpabile e visibile la tensione per il pericolo che sembra incombere sul nostro Paese dalla Libia, i tg annunciano venti di guerra.
Si sprecano discorsi interventisti e guerrafondai di menti troppo giovani per ricordarsi i dolori della guerra vista solo da lontano.
Ma quanto è reale la minaccia ai nostro confini?
 

Il pericolo della Libia

Ci si chiede come si sia arrivati a questo punto, quando cioè, la minaccia della Libia sia diventata così seria mentre gli occhi di tutti erano puntati sui barconi dei migranti, sull'Ucraina e per dirla banalmente sul Festival di Sanremo.

I media documentano ora i giorni di terrore, montano la campagna mediatica con l'Isis a 800 km dalla Sicilia e il pericolo dell'invasione dei terroristi, nascosti tra i migranti, dopo l'attacco dell'Egitto alla Libia. Terrorismo mediatico che insensatamente sta spingendo verso un intervento armato che farebbe deflagrare il pericolo terrorismo anche nel Mediterraneo.


Possibile però che in pochi ricordino che la situazione drammatica in cui si trova questo Paese ormai fallito, l'ha creata l'occidente?

La comunità internazionale è prima intervenuta in Libia e poi ha sostanzialmente ignorato quello che accadeva nel Paese dopo aver rovesciato il regime di Gheddafi, abbandonandolo alla totale guerra civile e ora cresce il pericolo dello Stato islamico.


L'Isis ha conquistato la Libia

 


Decisamente no.
Ricostruire nel modo in cui i tg stanno descrivendo la Libia è un grosso errore di superficialità finalizzato più a colpire lo spettatore che a informarlo.
La Libia è un Paese frammentato dopo l'intervento occidentale del 2011 finalizzato alla caduta del regime di Gheddafi. Negli anni ci sono state due elezioni nel 2012 e nel 2014 che hanno portato solo caos e tensione, con la formazione di due governi, uno eletto nel 2012 formato a Tripoli da islamisti moderati e non, in Tripolitania, e un altro sorto dall'elezioni del 2014, mai riconosciuto dal governo di Tripoli che si è stanziato nella città di Tubruq.

Il governo di Tripoli non è riconosciuto a livello internazionale, è sostenuto da un insieme di milizie islamiste chiamate “Alba della Libia” e ha come primo ministro Omar Hassi e l'obiettivo di rovesciare il parlamento eletto nel 2014. 

Dall'altra parte invece, a Tubruq c'è il governo sorto dalle elezioni del 2014, internazionalmente riconosciuto e sostenuto dalle forze armate fedeli all’ex generale Khalifa Haftar, che si sono schierate con il governo  del primo ministro Abdullah al-Thinni.  
Haftar era un generale dell’esercito della Libia che all’inizio sembrava intenzionato a compiere un colpo di stato contro al Thinni ma poi ha finito per sostenere il governo di Tubruq e combattere le milizie islamich.

In questa situazione caotica si sono inseriti i miliziani dell'Isis.
I miliziani di Abu Bakr al Baghdadi hanno prima sondato il terreno tra gli islamisti per una collaborazione in Libia, poi hanno stretto contatti con diversi simpatizzanti per arruolare altri "soldati" da mandare in addestramento in Siria. Il ritorno nel Paese libico di questi terroristi addestrati ha reso più marcata la presenza dell'Isis, rendendo più violenti gli attentati.
Attualmente il centro delle attività del gruppo è Derna, piccola citta portuale non troppo distante da da Tubruq, e Sirte. L'organizzazione opera anche in altre zone con uomini a Bengasi, Tripoli e Sirte. 
Vista il controllo alquanto limitato non si può parlare di conquista della Libia da parte dell'Isis, che ha una presenza marginale ed è osteggiata oltre che dal governo di Tubruq anche da quello di Tripoli più moderato.

A far precipitare gli eventi c'è poii stata l'esecuzione del gruppo di cristiano coopti egiziani che ha provocato l'intervento dell'Egitto di Al Sisi.

E l'Italia? 



In questi momenti di potenziale terrore o paura, la qualità dell'informazione italiana torna a fare la differenza dopo che per mesi si è completamente ignorato il problema.

Lo spauracchio dell'Isis è arrivato fino a minacciare i confini europei a sud di Roma.
In rete si sono poi diffuse le immagini dell'esecuzione di un iraqeno con una maglia del Napoli e subito sono partite le fobie di minaccia all'Italia.

La politica italiana come suo solito ha risposto con le solite dichiarazioni roboanti di chi è pronto a fare la guerra ma con il sedere di qualcun'altro.
Renzi si è reso conto delle esagerazioni che stava crescendo e ha cercato di placare i bollenti spiriti dei guerrafondai  con un rimando all'Onu e alle iniziative della Comunità internazionale.


A chi conviene la guerra



Si chiede un intervento della comunità internazionale con l'Onu a guidare le forze di intervento ma si sa il Consiglio di sicurezza non deciderà mai  per quell'intervento.
Molti politici usano questa minaccia per strumentalizzare la loro "lotta politica" anti immigrazione con i barconi dei migranti pieni di terroristi pronti ad attaccare il suolo italico in stile guerre puniche 2.0.

Pensare che quei barconi pericolanti, super controllati, possano essere il viatico per l'invasione italiana in questo momento, mi sembra alquanto assurdo.

Per quanto riguarda il discorso dell'intervento militare,  bisognerebbe capire prima contro chi si andrà a combattere senza che si ripresenti il dilemma già avuto in Siria, un Paese diviso tra svariate milizie in lotta, senza un nemico certo.

L'Isis è presente in Libia solo in limitate zone mentre le altre sono divise tra milizie in lotta tra loro e quindi appoggiarne una, significherebbe inimicarsi l'altra causando uno scontro che potrebbe ancor di più inacerbarsi.
Se si appoggia il governo riconosciuto ma recluso nella parte orientale del Paese si spingerebbe Alba della Libia nelle braccia dell'Isis, provocando un rafforzamento di questo nel territorio.

Il governo riconosciuto di Tubruq ha chiesto all'Onu la fine dell'embargo delle armi così da poter combattere le varie milizie, ma l'Onu ha preso tempo rimandando la decisione.


Non si tratta di sottovalutare il pericolo

 

Bisognerebbe evitare di creare una strategia di tensione ad arte nascondendo chissà quali interessi.

L'Italia chiede all'Europa di interessarsi al Mediterraneo e al problema libico, che non è un problema solo italiano ma europeo.
Bisognerebbe però abbandonare le gelosie e i rancori tipici di chi è stato messo da parte in un contesto importante (vedi Ucraina) facendo la voce grossa con minacce di guerra.

Più che minacciare l'Italia dovrebbe farsi portavoce di una serie di dialoghi, ufficiali o no, che mirino ad aggregare consenso tra i Paesi arabi così da creare una forza di intervento in Libia che operi sottotraccia per isolare l'Isis e magari ridare valore strategico al mediterraneo

Quest'azione rafforzerebbe il ruolo del nostro Paese e potrebbe portare l'Italia a svolgere il ruolo di punto di riferimento per il dialogo con il mondo arabo, posizione più volte ambita dall'Italia.

Il tempo delle politiche imperialistiche in Libia è finito.




Nessun commento:

Posta un commento