mercoledì 27 gennaio 2016

#SvegliaItalia è ora di essere civili, perché ci piaccia o no, è #giàfamiglia

Siamo il Paese in cui si continua a manifestare per vedersi riconosciuto un diritto, perché per essere tutti uguali bisogna avere l'approvazione e non urtare la sensibilità degli altri. Lo stesso Paese che ancora subisce un'influenza indebita dal Vaticano che organizza battaglie (silenziose o vibranti) in piazza e in Parlamento per opporsi a una legge sacrosanta, che deve semplicemente registrare la realtà anziché continuare a negarla.

Lo stesso Paese in cui un diritto riconosciuto e stabilito dalla legge come quello dell'aborto, viene costantemente messo in discussione dall'obiezione di coscienza da parte di tanti medici, che pur di far vincere le loro convinzioni ideologiche, mettono a repentaglio la vita di tante donne.

Siamo un Paese che vive un medioevo culturale che è difficile da superare. L'Italia è nel pieno di una battaglia civile, che non si può vincere semplicemente con una legge. L'ho sempre detto, non basta una legge per combattere un ritardo culturale clamoroso, però nel caso del percorso parlamentare di approvazione del Ddl Cirinnà sulle unioni civili sarebbe un passo in avanti..
Se guardassimo la storia attraverso un film o leggessimo tutto in un libro, ci scandalizzeremmo per il mancato riconoscimento di questi diritti e guarderemmo con pietà mista a indignazione per tutti quelli che, attaccati a supposte tradizioni, ancora insistono per negare diritti sacrosanti.


È incredibile come nel 2016 le unioni tra coppie di fatto o tra Lgbt non abbiano ancora un riconoscimento legale. Siamo ancora chiusi in una visione retrogada.
Ma non sorprendiamoci l'Italia è forse uno dei pochi Paesi occidentali in cui la Chiesa ha ancora il potere di influenzare l'agenda politica e di spingere verso una negazione così palese dei diritti altrui.



A scriverlo su Twitter è il  segretario del Consiglio d'Europa Thorbjorn Jagland, che sottolinea il ritardo italiano rispetto agli altri Paesi europei.
Infatti, siamo uno dei pochi Paesi a non avere ancora una legge che riconosca le unioni civili tra coppie di fatto e Lgbt, insieme a Cipro, Lituania, Lettonia, Polonia, Slovacchia, Bulgaria e Romania. 
Una compagnia che non ci fa tanto onore.

Partiamo per gradi:

sabato 23 gennaio 2016

Cosa ne è dell'Europa? La crisi di un sistema, verso un futuro ignoto

Crisi economica, crisi dei migranti, insofferenza all'austerity, le frontieri deboli ormai sotto pressione e la sfiducia nella politica segnano un periodo buio della fiducia in Europa. La minaccia è evidente, tant'è che la Commissione europea potrebbe tra non molto proporre al Consiglio l’attivazione dell’articolo 26 del codice, che prevede la possibilità di introdurre controlli alle frontiere interne fino a due anni.
La fine temporanea di Schengen insomma, una delle maggiori conquiste dell'unificazione europea.



Per quanto riguarda la tolleranza nei vari Paesi si è arrivati quasi al punto di non ritorno.
Ovunque in Europa si diffondono populismi, senza la volontà di trovare una soluzione reale alla crisi migratoria. Presto le crisi che attorniano i confini europei potrebbero diffondersi anche all'interno e scatenare la più classica delle guerre tra poveri. In questo, siamo già a buon punti, visto che in quasi tutti  gli Stati membri i movimenti di estrema destra, legali o illegali che siano, potenziano ogni giorno il loro ruolo e la loro immagine. Da Marine Le Pen, al movimento Pegida tedesco, senza dimenticare l'Est e i movimenti di destra scandinavi e greci.


venerdì 8 gennaio 2016

Pensieri di inizio anno

Nel gennaio di un anno fa, la strage di Charlie Hebdo faceva precipitare la Francia e l'Europa tutta nel terrore del terrorismo. Alla fine del 2015, gli altri attentati di Parigi hanno confermato tutte le paure.
È in atto in Europa un processo di disgregamento sulla spinta delle paure e delle tensioni. Sempre più Stati chiudono le loro frontiere. Una delle più grandi conquiste dell'Europa unita, l'accordo di Schengen, è messo in serio pericolo dalle spinte alla chiusura dei singoli Paesi. Come se quel radicalismo che spinge tante persone alla violenza venisse dal di fuori e non dal di dentro. Si è scritto giustamente su Internazionale, più che radicalismo dell'Islam, siamo assistendo a un islamizzazione del radicalismo con l'addio alle ideologie.
Più che chiudersi, gli Stati dovrebbero aprirsi per capire le cause e i motivi di tale radicalizzazione della violenza, che non casualmente viene sempre da quartieri degradati e fasce di popolazione emarginata.
La classe politica attuale non è capace di trovare risposte, perché ostaggio della corporatocrazia che ha generato questo sistema omologante ed escludente.
La spinta radicale in questi contesti trova sempre una via di fuga nella violenza. Se priam c'era il terrorismo rosso o quello nero, oggi le classi povere, in buona parte dei Paesi europei, sono frutto di immigrazione di seconda o terza generazione. In questi contesti ormai l'unica fonte di risposta può essere una religione somministrata in forme dozzinali.

Gli strumenti per combattere questa deriva ci sono e la repressione lo ha già dimostrato, non è la risposta giusta.

Non è in atto una guerra di civiltà, ma solo una crisi del modello culturale occidentale, che come un parassita, ha bisogno di espandersi per trovare sfogo al proprio bisogno di consumi e risorse.

L'equilibrio si basa su una piramide fatto di desideri, sperequazioni e differenze, dove ricchezza e povertà sono agli opposti. 
Un lato può solo guardare l'altro che si sazia.

In ogni epoca si cerca nella la violenza, il modo di sovvertire uno stato di cose considerato ingiusto, cercando un obiettivo sublime per giustificare le atrocità commesse. 

Avviene anche oggi.
Non c'è nessuna guerra di civiltà in atto, la guerra è all'interno del nostro sistema di valori.

L'islam è solo il mezzo, non il fine.