giovedì 28 aprile 2016

Almaviva e l'accordo che non risolve nulla, ma rimanda. Su cosa dovranno votare i lavoratori?


Referendum sembra la parola magica in questo periodo.
Con questo post, non voglio parlarvi di trivelle e nemmeno di quorum. Oggi tratto ancora della problematica Almaviva e della procedura di mobilità di cui vi ho già parlato in alcuni post precedenti.

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Mi chiederete cosa c'entra il referendum se vi parlo di Almaviva. In realtà il referendum c'entra perché le riunioni al Mise tra Governo, azienda e sindacati hanno trovato uno sbocco e una sorta di accordo, proposto da Almaviva e che i sindacati hanno deciso di sottoporre al voto dei lavoratori.
Sì, dopo anni di decisioni tra pochi, in questo momento complicato si è deciso di chiedere l'opinione dei lavoratori, perché i giochi in ballo sono troppo importanti e in un periodo di forte sfiducia anche nei confronti delle rappresentanze sindacali, si richiede la valutazione dei lavoratori, così anche per lavarsi la coscienza.

Perché è normale, i grandi numeri aiutano a mescolare le carte, orientare le decisioni e ottenere quello che si vuole al minor costo.

Ci si muove un atmosfera alquanto caotica sia a livello di ufficialità, perché oltre a un comunicato dei sindacati, una proposta ufficiale e certificata dell'azienda non c'è, salvo la minaccia di procedere con le procedure di mobilità nel momento in cui non ci sia un sì all'accordo entro il 4 maggio.

Su cosa dovranno rispondere i lavoratori?


La proposta aziendale è una non soluzione:
Nelle precendenti puntate della vertenza Almaviva, quando l'azienda dichiarava le perdite economiche e mostrava i dati che giustificavano i 3mila esuberi necessari per rilanciare la propria attività, l'amministratore delegato si mostrava indisponibile a qualsiasi soluzione ponte, incapace di rilanciare il mercato e fa ripredere competitività a un settore, quello dei call center inbound italiani, dilaniato da appalti al massimo ribasso e delocalizzazioni.
Quindi nessuna estensione del contratto di solidarietà e no a qualsiasi ammortizzatore che non servisse a ristrutturare davvero il mercato.

Negli incontri col Governo, si è invece mostrato come in questi mesi, la problematica Almaviva sia stata del tutto ignorata, perché il viceministro non ha saputo fare altro che promettere impegni concreti, dare rassicurazioni e concedere i soliti aiuti economici. Questi aiuti si sostanziano nella concessione in deroga della solidarietà con percentuali del 45% nei centri di Palermo, Roma e Napoli spalmata in orizzontale e in verticale per i part time a 5 e 6 ore e i full time (per i part time 4 ore la solidarietà continuerà a essere verticale).
Le condizioni economiche per i lavoratori ne risentiranno ancora di più, visto che anche i rimborsi della solidarietà verranno considerati bimestralmente ed rimborsati dall'azienda solo nel momento in cui l'Inps sia puntuale nel restituire le anticipazioni dell'azienda, altrimenti l'azienda rimborserà al 25%.

In sostanza un accordo che non risolve nulla, ma rimanda tutto a novembre, nella speranza che il Governo faccia il miracolo e che si trovi una soluzione alla perdita di competitività del settore.
A novembre poi i lavoratori saranno punto e a capo, perché nessuna garanzia è data loro dall'azienda nel momento in cui la situazione non migliori, anzi si riaccenderà la procedura di mobilità con qualche differenza.
La differenza è che per i lavoratori sarà impossibile procedere con un'ulteriore vertenza e soprattutto sarà vicinissimo quel 2017, anno in cui la legge Fornero ha stabilito come inizio del periodo di cambiamento della retribuzione della mobilità, facendo comparire la Naspi che tra le varie modifica si sostanzia in una retribuzione più bassa e di minor durata del periodo di disoccupazioni.

Tante questioni non tornano e fanno pensare che possano esserci accordi sottaciuti che abbiano indotto l'azienda a perseguire questa linea attendista, quando per mesi ha mostrato sempre l'indisponibilità.

Intanto, lavoratori si trovano a dover decidere davanti al ricatto aziendale, tra un sì che accetta tali condizioni peggiorative e che non porta alcuna soluzione, se non la speranza in un miracolo del Governo a novembre, altrimenti mobilità sicura, senza vertenze e con una Naspi più bassa. Oppure,dire no ora e quindi forzare l'azienda a scoprire le sue carte, o continuando la procedura di mobilità con l'esposizione a subire vertenze che possono essere costose e a forzare il governo a trovare una soluzione.

No quorum


Il quorum non esiste e i lavoratori dovranno volenti o nolenti prendere una decisione, sullo sfondo di tanta confusione per i tremila che si troveranno a dover decidere del proprio futuro in pochi giorni.

È facile in questi casi strumentalizzare le opinioni e le paure di persone, soprattutto in assenza di qualsiasi aspettativa positiva e dinanzi ai tanti interrogativi sul futuro e sulla crisi aziendale che appare tanto irrimediabile e decantata, soprattutto nelle parole di chi minaccia fuoco e fiamme, ma sembra soltanto intenzionato a raccogliere il massimo possibile dalla situazione.

lunedì 18 aprile 2016

Cosa significa "Io non voto" al referendum

Va bene, non siete andati a votare, nonostante l'invito che avevo caldeggiato in questa pagina, avete scelto di non scegliere e il referendum non ha ottenuto il quorum. Si dirà, quelli che spingevano sul no hanno detto che, non andare a votare era già una decisione contro il quesito del referendum, per boicottare il quorum. 

In realtà vorrei capire nello specifico perché si è deciso di non votare.
Molti hanno detto che era un referendum inutile, che era semplicemente una questione politica contro il Governo e che era contro la politica energitica italiana, in quanto quel petrolio serve al nostro sviluppo.
Molti l'hanno intesa come un voto pro o contro Renzi, cosa che ha fatto comodo al primo ministro per oscurare la questione oggetto di quesito.

Ora che i giochi sono chiusi e che ormai il gioco voto/non voto rappresenta solo un pallido ricordo, vi dirò che non andare a votare ha significato far passare il messaggio che determinate personalità controllano ancora un consenso alto e che possono influire, non dico sull'attivista o il membro di un partito, ma sulla persona comune che non ha legami particolari con quel gruppo o associazione.

Perché buona parte di chi si è astenuto, non si è nemmeno informato su cosa si votava, perché i media main stream quelli che veicolano l'opinione pubblica e che sono controllate da quelle due/tre famiglie non ne hanno parlato o se ne hanno parlato, lo hanno fatto male. Oppure, perché il discorso era troppo complicato e la pigrizia di tendenza ha fatto sì che molti si rifiutassero di interessarsi, presi da quell'apatia per la politica che porta all'astensione, anche paradossalmente per uno strumento che è il massimo della partecipazione popolare come il Referendum.

Allora sinteticamente non siete andati a votare, perché vi hanno detto che era inutile, che era anzi dannoso perché il petrolio  e il gas all'Italia serve.
In realtà il voto non era rivolto al cambio di politica energetica dell'Italia (magari...), ma riguardava nello specifico la durata delle concessioni di estrazione del petrolio nei giacimenti in essere, che avevano una scadenza varia nella forbice 2017 e 2034 e che la legge di stabilità di fine 2015 aveva portato fino a esaurimento utilità della compagnia che si occupa dell'estrazione.

In sostanza la legge di stabilità ha regalato quel giacimento alla compagnia petrolifera senza nessuna scadenza, a condizioni fiscali favorevoli e con il pagamento di royalties allo Stato e alle Regioni tra le più basse al mondo. 
Quali sono queste condizioni favorevoli? 
Per poter estrarre idrocarburi le società petrolifere devono pagare  royalties legate all’andamento di mercato: se il prezzo del petrolio si abbassa, cala anche il loro gettito. Se confrontiamo le royalties italiane con quelle, per esempio, della Croazia, vediamo che i petrolieri in territorio croato pagano quasi cinque volte di più. In Italia per le estrazioni in mare dal 2012 ci sono due diverse aliquote: 10% per il gas e 7% sul petrolio. Solo come termine di paragone per il petrolio l'aliquota in Guinea è del 25%, mentre addirittura dell'80% in Norvegia.
I favori non terminano qui: ci sono le franchigie.
Le società petrolifere non versano nulla all'Italia  se producono meno di 20mila tonnellate di petrolio su terra e meno di 50mila in mare. La vendita però è a prezzo pieno e se si superano le soglie, scatta un’ulteriore detrazione di circa 40 euro a tonnellata. In questo modo il 7% delle royalties viene pagato solo dopo le prime 50mila tonnellate di greggio estratto e neppure per intero.
Ditemi voi se qualcuno che ha una concessione illimitata nel tempo ha interesse ad aumentare la produzione e quindi andare oltre franchigia, visto anche il calo del prezzo del petrolio e del gas.

Un vincolo che è rimasto, ma che perde  totalmente di senso è quello della demolizione degli impianti a fine concessione e il ristabilimento dell'ecosistema precedente, che con una concessione pressoché illimitata non vedremo in tempi certi.

Tutto questo lo si poteva evitare con il voto di domenica 17, ma non siete voluti andare a votare.

Avete scelto di non informarvi e di non scegliere.
Avete scelto di far decidere il Governo e le lobby petrolifere.


Come se in questo Paese non decidano già tutto loro.
In questi giorni è andato in scena uno spettacolo indegno per una democrazia che si definisce evoluta. Figure istituzionali che caldeggiano il non voto come un diritto costituzionale, il Presidente della Repubblica che va a votare a tg nazionali ormai andati in onda e soprattutto organi di informazioni impreparati o di parte, rendono tutto molto triste.

Una cosa in realtà non è stata detta, una cosa che presidente della Repubbica in carica e presidente emerito avrebbe dovuto dire, nel rispetto di tanti che hanno combattuto per questo diritto.

"Io non voto" non è mai una risposta.

venerdì 15 aprile 2016

Che sia Sì o sia no, dillo al referendum, domenica 17 aprile non legittimare chi ti dice di non scegliere

Questo è dedicato a chi è abituato a strumentalizzare e a utilizzare la propria figura istituzionale per finalità politiche. Un po' come quegli ex presidenti della Repubblica che invitano ad astenersi dal votare un referendum, come se non andare a votare fosse una qualità.

In realtà questi i referendum di domenica 17 aprile sono passati in sordina e come al solito strumentalizzati. La "politica" si appropria sempre di tutte le battaglie e rende ogni cosa uno scontro tra partiti.



La strumentalizzazione di un referendum avviene quando il quesito sulle "trivelle" diventa una questione politica, se far chiudere o meno dei giacimenti e far perdere lavoro a degli operai oltre che prezioso petrolio al Paese.
In realtà non è questo che si voterà domenica, il 17 infatti si voterà per abolire una norma introdotta dalla legge di stabilità che cambiava una precedente legge  e che assicurava alle compagnie petrolifere, titolari della concessione a termine, un diritto di trivellazione del giacimento fino a completo esaurimento del pozzo. In pratica, lo Stato si "espropria" dei propri diritti su risorse inalienabili e le "cede" definitivamente o quasi alle compagnie petrolifere. Un bel regalo alle lobby petrolifere non c'è dubbio e un grande smacco sia per l'equilibrio geologico delle nostre coste e dei nostri territori, sia per evitare l'ennesimo favore alle lobby del petrolio. Perché l'Italia è il Paese delle lobbny che lavorano sottotraccia e che riescono a far inserire queste norme all'interno di Leggi di stabilità molto vaste e quindi capaci di passare quasi inosservate.

domenica 10 aprile 2016

Realtà a tre dimensioni: la libertà dei capitali e del lavoro e i confini delle persone


Esistono realtà parallele che si sovrappongono, realtà antitetiche che seppure contraddittorie, coesistono sullo stesso piano. Non parlo di mondi paralleli, né di altre dimensioni e nemmeno faccio riferimento a cervellotici film o a una puntata di Lost, ma del nostro spazio/tempo e della nostra realtà. Diverse percezioni che guardano la stessa dimensione da un punto di vista diverso.
In questi giorni su tutti i mezzi d'informazione si tratta dello scandalo delle società offshore a Panama. Una realtà nota a tutti è diventato uno scoop mondiale.



I cosiddetti "Panama papers" non ci hanno detto nulla di nuovo, era risaputo che Paesi come Panama fossero paradisi fiscali. Quello che ha lasciato sorpresi è forse vedere quanto sia stato facile esportare capitali all'estero un po' per tutti. 
Nel sistema capitalista occidentale i capitali hanno libertà di movimento verso quei Paesi che offrono condizioni migliori. Con i miliardi non si è razzisti.

sabato 2 aprile 2016

Solo esuberi e non più risorse: Almaviva, l'estenuante perdita di valore del lavoro in Italia

Sono giorni difficili per il lavoro in Italia vista la messa in mobilità di circa tremila lavoratori dichiarata da +Almaviva Contact, di cui ho già qui scritto su +Contrordine , al momento della dichiarazione dello stato di mobilità e qui per la manifestazione a Napoli. 

1.670  +Dipedenti Palermo Almaviva , 918 di Roma e 400 di Napoli in pericolo che rappresentano un disastro lavorativo dalle dimensioni enormi, ma che non ha ancora una rilevanza mediatica proporzionata. 

La crisi Almaviva 


 
















Gli eventi si rincorrono negli ultimi giorni e mentre continuano i presidi e le manifestazioni, l'azienda ha dichiarato nuovamente alle sigle sindacali  che, a fronte di assenza di marginalità nei centri indicati e, anzi, con lavoro in perdita, si vede costretta a continuare il processo di "riorganizzazione", viste le difficoltà a essere competitiva sul mercato, fatto di delocalizzazioni e aste al massimo ribasso. La situazione problematica esplosa negli ultimi giorni viene da tempi lontani, già in questo blog ti scrissi della situazione dovuta alla crisi a Catania, del fatto che da circa tre anni i lavoratori Almaviva sono in contratto di solidarietà e della situazione difficile maltrattata dal mondo dell'informazione.

LEGGI ANCHE: La crisi Almaviva ai tempi delle delocalizzazioni e del Jobs act (e di Ballarò)

 

Questione di marginalità

 

Una delle parole più diffuse tra i lavoratori coinvolti dalla crisi di questi giorni è: marginalità. Se il lavoro non crea marginalità, non esiste e quindi va eliminato. Secondo i dati di Almaviva i tre centri coinvolti sono in perdita e non producono quelle percentuali di marginalità che possano rendere sostenibile l'investimento, soprattutto per la differenza tra il costo del lavoro in Italia che , dichiara l'azienda, è di circa 15 euro/l'ora con gli incentivi 2016 in confronto ai circa 3-5 euro/l'ora del lavoro nei Paesi extra UE dove i concorrenti delocalizzano.