Referendum sembra la parola magica in questo periodo.
Con questo post, non voglio parlarvi di trivelle e nemmeno di quorum. Oggi tratto ancora della problematica Almaviva e della procedura di mobilità di cui vi ho già parlato in alcuni post precedenti.
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Mi chiederete cosa c'entra il referendum se vi parlo di Almaviva. In realtà il referendum c'entra perché le riunioni al Mise tra Governo, azienda e sindacati hanno trovato uno sbocco e una sorta di accordo, proposto da Almaviva e che i sindacati hanno deciso di sottoporre al voto dei lavoratori.
Sì, dopo anni di decisioni tra pochi, in questo momento complicato si è deciso di chiedere l'opinione dei lavoratori, perché i giochi in ballo sono troppo importanti e in un periodo di forte sfiducia anche nei confronti delle rappresentanze sindacali, si richiede la valutazione dei lavoratori, così anche per lavarsi la coscienza.
Perché è normale, i grandi numeri aiutano a mescolare le carte, orientare le decisioni e ottenere quello che si vuole al minor costo.
Ci si muove un atmosfera alquanto caotica sia a livello di ufficialità, perché oltre a un comunicato dei sindacati, una proposta ufficiale e certificata dell'azienda non c'è, salvo la minaccia di procedere con le procedure di mobilità nel momento in cui non ci sia un sì all'accordo entro il 4 maggio.
La proposta aziendale è una non soluzione:
Nelle precendenti puntate della vertenza Almaviva, quando l'azienda dichiarava le perdite economiche e mostrava i dati che giustificavano i 3mila esuberi necessari per rilanciare la propria attività, l'amministratore delegato si mostrava indisponibile a qualsiasi soluzione ponte, incapace di rilanciare il mercato e fa ripredere competitività a un settore, quello dei call center inbound italiani, dilaniato da appalti al massimo ribasso e delocalizzazioni.
Quindi nessuna estensione del contratto di solidarietà e no a qualsiasi ammortizzatore che non servisse a ristrutturare davvero il mercato.
Negli incontri col Governo, si è invece mostrato come in questi mesi, la problematica Almaviva sia stata del tutto ignorata, perché il viceministro non ha saputo fare altro che promettere impegni concreti, dare rassicurazioni e concedere i soliti aiuti economici. Questi aiuti si sostanziano nella concessione in deroga della solidarietà con percentuali del 45% nei centri di Palermo, Roma e Napoli spalmata in orizzontale e in verticale per i part time a 5 e 6 ore e i full time (per i part time 4 ore la solidarietà continuerà a essere verticale).
Le condizioni economiche per i lavoratori ne risentiranno ancora di più, visto che anche i rimborsi della solidarietà verranno considerati bimestralmente ed rimborsati dall'azienda solo nel momento in cui l'Inps sia puntuale nel restituire le anticipazioni dell'azienda, altrimenti l'azienda rimborserà al 25%.
In sostanza un accordo che non risolve nulla, ma rimanda tutto a novembre, nella speranza che il Governo faccia il miracolo e che si trovi una soluzione alla perdita di competitività del settore.
A novembre poi i lavoratori saranno punto e a capo, perché nessuna garanzia è data loro dall'azienda nel momento in cui la situazione non migliori, anzi si riaccenderà la procedura di mobilità con qualche differenza.
La differenza è che per i lavoratori sarà impossibile procedere con un'ulteriore vertenza e soprattutto sarà vicinissimo quel 2017, anno in cui la legge Fornero ha stabilito come inizio del periodo di cambiamento della retribuzione della mobilità, facendo comparire la Naspi che tra le varie modifica si sostanzia in una retribuzione più bassa e di minor durata del periodo di disoccupazioni.
Tante questioni non tornano e fanno pensare che possano esserci accordi sottaciuti che abbiano indotto l'azienda a perseguire questa linea attendista, quando per mesi ha mostrato sempre l'indisponibilità.
Intanto, lavoratori si trovano a dover decidere davanti al ricatto aziendale, tra un sì che accetta tali condizioni peggiorative e che non porta alcuna soluzione, se non la speranza in un miracolo del Governo a novembre, altrimenti mobilità sicura, senza vertenze e con una Naspi più bassa. Oppure,dire no ora e quindi forzare l'azienda a scoprire le sue carte, o continuando la procedura di mobilità con l'esposizione a subire vertenze che possono essere costose e a forzare il governo a trovare una soluzione.
Il quorum non esiste e i lavoratori dovranno volenti o nolenti prendere una decisione, sullo sfondo di tanta confusione per i tremila che si troveranno a dover decidere del proprio futuro in pochi giorni.
È facile in questi casi strumentalizzare le opinioni e le paure di persone, soprattutto in assenza di qualsiasi aspettativa positiva e dinanzi ai tanti interrogativi sul futuro e sulla crisi aziendale che appare tanto irrimediabile e decantata, soprattutto nelle parole di chi minaccia fuoco e fiamme, ma sembra soltanto intenzionato a raccogliere il massimo possibile dalla situazione.
Mi chiederete cosa c'entra il referendum se vi parlo di Almaviva. In realtà il referendum c'entra perché le riunioni al Mise tra Governo, azienda e sindacati hanno trovato uno sbocco e una sorta di accordo, proposto da Almaviva e che i sindacati hanno deciso di sottoporre al voto dei lavoratori.
Sì, dopo anni di decisioni tra pochi, in questo momento complicato si è deciso di chiedere l'opinione dei lavoratori, perché i giochi in ballo sono troppo importanti e in un periodo di forte sfiducia anche nei confronti delle rappresentanze sindacali, si richiede la valutazione dei lavoratori, così anche per lavarsi la coscienza.
Perché è normale, i grandi numeri aiutano a mescolare le carte, orientare le decisioni e ottenere quello che si vuole al minor costo.
Ci si muove un atmosfera alquanto caotica sia a livello di ufficialità, perché oltre a un comunicato dei sindacati, una proposta ufficiale e certificata dell'azienda non c'è, salvo la minaccia di procedere con le procedure di mobilità nel momento in cui non ci sia un sì all'accordo entro il 4 maggio.
Su cosa dovranno rispondere i lavoratori?
La proposta aziendale è una non soluzione:
Nelle precendenti puntate della vertenza Almaviva, quando l'azienda dichiarava le perdite economiche e mostrava i dati che giustificavano i 3mila esuberi necessari per rilanciare la propria attività, l'amministratore delegato si mostrava indisponibile a qualsiasi soluzione ponte, incapace di rilanciare il mercato e fa ripredere competitività a un settore, quello dei call center inbound italiani, dilaniato da appalti al massimo ribasso e delocalizzazioni.
Quindi nessuna estensione del contratto di solidarietà e no a qualsiasi ammortizzatore che non servisse a ristrutturare davvero il mercato.
Negli incontri col Governo, si è invece mostrato come in questi mesi, la problematica Almaviva sia stata del tutto ignorata, perché il viceministro non ha saputo fare altro che promettere impegni concreti, dare rassicurazioni e concedere i soliti aiuti economici. Questi aiuti si sostanziano nella concessione in deroga della solidarietà con percentuali del 45% nei centri di Palermo, Roma e Napoli spalmata in orizzontale e in verticale per i part time a 5 e 6 ore e i full time (per i part time 4 ore la solidarietà continuerà a essere verticale).
Le condizioni economiche per i lavoratori ne risentiranno ancora di più, visto che anche i rimborsi della solidarietà verranno considerati bimestralmente ed rimborsati dall'azienda solo nel momento in cui l'Inps sia puntuale nel restituire le anticipazioni dell'azienda, altrimenti l'azienda rimborserà al 25%.
In sostanza un accordo che non risolve nulla, ma rimanda tutto a novembre, nella speranza che il Governo faccia il miracolo e che si trovi una soluzione alla perdita di competitività del settore.
A novembre poi i lavoratori saranno punto e a capo, perché nessuna garanzia è data loro dall'azienda nel momento in cui la situazione non migliori, anzi si riaccenderà la procedura di mobilità con qualche differenza.
La differenza è che per i lavoratori sarà impossibile procedere con un'ulteriore vertenza e soprattutto sarà vicinissimo quel 2017, anno in cui la legge Fornero ha stabilito come inizio del periodo di cambiamento della retribuzione della mobilità, facendo comparire la Naspi che tra le varie modifica si sostanzia in una retribuzione più bassa e di minor durata del periodo di disoccupazioni.
Tante questioni non tornano e fanno pensare che possano esserci accordi sottaciuti che abbiano indotto l'azienda a perseguire questa linea attendista, quando per mesi ha mostrato sempre l'indisponibilità.
Intanto, lavoratori si trovano a dover decidere davanti al ricatto aziendale, tra un sì che accetta tali condizioni peggiorative e che non porta alcuna soluzione, se non la speranza in un miracolo del Governo a novembre, altrimenti mobilità sicura, senza vertenze e con una Naspi più bassa. Oppure,dire no ora e quindi forzare l'azienda a scoprire le sue carte, o continuando la procedura di mobilità con l'esposizione a subire vertenze che possono essere costose e a forzare il governo a trovare una soluzione.
No quorum
Il quorum non esiste e i lavoratori dovranno volenti o nolenti prendere una decisione, sullo sfondo di tanta confusione per i tremila che si troveranno a dover decidere del proprio futuro in pochi giorni.
È facile in questi casi strumentalizzare le opinioni e le paure di persone, soprattutto in assenza di qualsiasi aspettativa positiva e dinanzi ai tanti interrogativi sul futuro e sulla crisi aziendale che appare tanto irrimediabile e decantata, soprattutto nelle parole di chi minaccia fuoco e fiamme, ma sembra soltanto intenzionato a raccogliere il massimo possibile dalla situazione.
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