sabato 6 giugno 2015

#LaDedicaDellaSettimana n.9 alla Crisi nel Sud Europa e a Gaza sempre più fuori da ogni logica

Siamo tutti oggetto di manipolazione e disinformazione organizzata. Le notizie sono semplici fatti, sta a chi informa diffonderle o manipolarle. La narcolessia mediatica è proprio quella che ci propina chi oscura e manipola il mondo dell'informazione. Cercare di uscire da questo sistema perverso è dovere di qualsiasi essere pensante.

La dedica della settimana 

Si torna a parlare di dediche in questo fine settimana, quando i pensieri diventano più luciudi e la settimana è ormai finita. Questa settimana a farla da protagonista sono i numeri, quelle impietose cifre contro cui è sempre difficile controbattere. Si possono interpretare a seconda dei contesti e delle ideologie, ma i numeri sono lì a mostrarci la realtà, le differenze e i risultati.



Il sud Europa

Il progetto Europa è arrivato all'ennesimo punto di svolta, dopo anni di allargamento dell'Unione e di aumento degli Stati, si è al punto critico. Prima o poi, si dice, i nodi vengono al pettine, così accade anche con i conti pubblici e con i bilanci. Se al nord la questione è soprattutto ideologica, per la Gran Bretagna è soprattutto una questione di principi e di valori, per la tradizione isolana sempre allergica alle concessioni, per il sud Europa è una questione di sopravvivenza. Grecia, Spagna e Italia pongono numerosi quesiti sulla sostenibilità del progetto Europa. I confini sono in sofferenza tra crisi dei migranti e le imminenti elezioni in Turchia che lasciano tanti dubbi sul futuro e la democrazia. Sullo sfondo la solita questione palestinese e di Gaza, la cui situazione diventa ogni giorno più drammatica.


Grecia 

 

La Grecia è entrata nell'Unione monetaria nel 2001 con una sostanziale menzogna sul debito pubblico. Mentre il debito divampava oltre i 300miliardi, il Fondo monetario e la Bce inondavano l'economia di prestiti e di ancora altro debito, con la promessa delle istituzioni  di ridurre la spesa pubblica e le spese sociali. In sostanza era già austerity, la sola politica che la Troika riesce a immaginare.
Oggi ci ritroviamo con il dramma della Grecia annunciato da anni, nel rimbombo dei giornali e dei media che ce la ripropongono in tutte le salse. Il Grexit (la via d'uscita greca dall'Unione) non sembra essere una realtà così lontana. 
Tsipras ha promesso ai greci di non sottomettersi al ricatto della Troika e di voler puntare soprattutto al salvataggio di quella che è diventata una vera e propria crisi umanitaria, con il tasso di disoccupazione ormai al 25% e la riduzione di un quarto del pil. 
Il pagamento del debito è sempre più in pericolo e l'uscita sembra sempre meno improbabile.  L'ala di sinistra di Syriza non accetterà negoziazioni troppo svantaggiose per l'Europa, pena la minaccia del voto anticipato, dall'altro i creditori non sembrano disposti a fare altre concessioni agli ellenici.
La situazione di stallo dovrà sbloccarsi in qualche modo, probabilmente ci sarà un altro rimando che non risolverà il problema ma lo posticiperà allargandone gli effetti.
Mai come in questi giorni il futuro del Sud Europa è in bilico con il possibile allargarsi del Grexit anche alla Spagna, nel caso Podemos confermasse i risultati positivi delle elezioni amministrative.

Le due Italie

 


I numeri parlano chiaro: dopo tre anni di recessione l'Italia torna a crescere, nonostante si tratti di uno striminzito +0.3% che per il 2015 può diventare +0.7. Anche se non eclatanti i numeri sono positivi, poi è vero che in parte l'Euro debole, il prezzo del petrolio in calo e il QE della Bce hanno aiutato, ma in qualche modo, nel breve periodo, il Paese sembra rispondere positivamente.
I numeri nascondono però sempre interpretazioni.
Infatti, come riportato dall'Economist se scorporiamo i dati per regione si può vedere quanto la crescita riguardi una sola parte dell'Italia, quella del nord e che la storica e atavica divisione in due in realtà è aumentata. Di quelli che hanno perso il lavoro tra il 2007 e il 2014, il 70% vive al sud in cui il tasso di occupazione è al 40%, il più basso dei Paesi dell'Unione europea.
Se nel 2014 il tasso di disoccupazione medio italiano è stato del 13.6%, al sud è stato del 21.7%.
Uno dei punti tradizionali del sud Italia erano le famiglie numerose e il tasso di fertilità più alto. Abbiamo perso anche quello visti i dati  in controtendenza con un calo al sud e un aumento al nord Italia. Il fenomeno è provocato dalle solite emigrazioni verso il settentrione che sono aumentate. Dal 2001 al 2013, infatti, più di 700 mila persone sono emigrate al nord Italia  e di queste il 70% sono under 35. Una perdita di forza lavoro e di intelligenza che nel lungo periodo nonf arà altro che aumentare la forbice e il divario.

La questione meridionale è una tematica che nel tempo e nella storia si è sfamata sempre più di propaganda e slogan più che di riforme strutturali. Si parla sempre della stessa storia letta e riletta più volte e mai capita. La Germania dopo l'unificazione ha lavorato per ridurre il gap che c'era tra est e ovest, superiore al divario nord/sud Italia. A oggi quelle differenze sono ridotte al minimo mentre in Italia  si è puntato ad altro.



Turchia

 


Un incoraggiamento alla Turchia e ai turchi che credono e lottano per un Paese in pace, democratico e secolarizzato. Gli attentati bagnano questi importanti giorni di attesa delle elezioni, in cui si decide il futuro della Turchia. La minaccia di un regime autoritario in mano a Erdogan e ai giovani turchi è imminente. In tutto questo, l'Europatace come al solito, troppo debole per immischiarsi negli affari interni di un Paese che, pur se fuori dalle Unioni, da anni ne chiede l'accesso e rappresenta il confine del continente, oltre che no dei Paesi musulmani più importanti. Saremo pronti solo dopo a piangere lacrime per una "democrazia" persa dopo che i cannoni della dittatura avranno sparato.

I numeri di Gaza 

 

Tema: La Banca mondiale e l'economia a Gaza.
Svolgimento: Perché, Gaza ha un'economia? Quel cumulo di macerie, popolato da degenerati capaci solo di attentati, di lamentarsi e finire in campi di concentramento, per poi scappare verso le nostre patrie costiere, può essere considerato un'economia?  Sembrerebbe di sì. In quella striscia di terra che arriva alle cronache solo in determinati momenti dell'anno, c'è un'economia che finalmente semina ciò che raccoglie, in cui le politiche lungimiranti dell'Olp, di Hamas e soprattutto di Israele stanno ottenendo i risultati sperati. 
Tutto vero signori, non c'è ironia in questo. 
Di Gaza vi avevo già parlato qui e di Yarmouk ti avevo raccontato nella Dedica della settimana n. 1 Nessuno ne parla mai, segno che tutto va bene quindi. Non proprio. La Banca Mondiale ha certificato finalmente il grande lavoro fatto nella Striscia con il più alto tasso di disoccupazione del mondo, il 43% (di cui il 60% sono giovani). 
Perché, vi chiederete, non solo vivono da indigenti e ottengono gli aiuti, ma vorrebbero pure lavorare?
Da Internazionale, Amira Hass ci mostra che dall'inizio del blocco israeliano del 2007 il pil di Gaza si è dimezzato, è crollato il settore manufatturiero e le esportazioni sono completamente azzerate.
Un intero popolo si è finalmente trasformato in economia di sussistenza, in cui la povertà è regola e che rappresenta la più grande galera del mondo, come la definisce la stessa Hass, in cui Paesi arabi e non, possono veicolare i loro sensi di colpa e strumentalizzare il ricatto a Israele per perseguire i loro fini. Perché, per tanti, è utile mantenere lo statu quo, perché ormai sembra evidente che mantenere Gaza nel fondo del burrone convenga.

#FreeGaza #SaveYarmouk

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