sabato 27 giugno 2015

#LaDedicaDellaSettimana n.12 è per il dissenso, perché quando il terrore aumenta, non bisogna mai stare zitti

Siamo tutti oggetto di manipolazione e disinformazione organizzata. Le notizie sono semplici fatti, sta a chi informa diffonderle o manipolarle. La narcolessia mediatica è proprio quella che ci propina chi oscura e manipola il mondo dell'informazione. Cercare di uscire da questo sistema perverso è dovere di qualsiasi essere pensante.

La dedica della settimana

Decidere su cosa scrivere questa settimana è stato molto difficile, per quanti sono gli argomenti, stavo quasi pensando di non pubblicare nulla e restare questo fine settimana in silenzio, perché davanti a tanta violenza resti immobile, sbigottito e con il nodo in gola. 

Sentirsi accerchiati è facile in questo momento ed è facile soprattutto dar voce alle bocche di fuoco.

La mia prima reazione era quella di non scrivere, mettere uno schermo nero come pausa di riflessione.



Poi l'insofferenza a qualsiasi forma di costrizione ha smosso il mio cervello e già sapevo che, nel momento in cui le dita avrebbero cominciato a ticchettare sulla tastiera non si sarebbero più fermate f, così come i miei pensieri.

Quando mi sono trovato a stilare una scala di valori per me fondamentali, al primo posto ce n'era uno a cui non avrei potuto davvero rinunciare: la libertà.
Mi sono chiesto che senso avrebbe avuto non scrivere e perché avrei dovuto rinunciare a esprimere il mio dissenso. 
Sì perché attraverso questo blog, io esprimo dissenso,più o meno costruttivo, ma comunque dissenso. La libertà di dissentire è la base della democrazia e della nostra civiltà, per questo mi ritrovo ancora a scrivere oggi, in certi momenti non si dovrebbe restare in silenzio.

La dedica della settimana #12 è quindi per la libertà, quella possibilità di dissentire che mi permette di scrivere queste frasi in questo blog, che permette a tante persone di continuare a lottare, quella libertà contro il terrorismo e l'estremismo religioso, contro le mafie, che vedono negli uomini liberi la loro più grande minaccia. Quella libertà di cui già vi ho scritto  varie volte, come quella di un post di un po' di settimane fa, quel #Libriamo dedicato agli intellettuali italiani che seppero dire di no al fascismo descritti nel libro di Boatti Preferirei di No.

Mario Piccolino


La dedica della settimana parte proprio dal sacrificio di Mario.
Mario Piccolino era un avvocato, uno di quelli che non riusciva a tenersi nulla dentro, che attraverso il suo blog Freevillage denunciava quella camorra molto presente anche a Formia e Latina. Aveva 71 anni ed stato ammazzato il 29 maggio 2015. A un mese di distanza dalla sua morte non si sa ancora chi è stato a ucciderlo e quale fosse il movente reale. Eppure c'è un filmato che ritrae l'assassino e il colpo di pistola che lo fredda a bruciapelo nel viso. In quella zona ad alta infiltrazione della camorra che è il basso Lazio, ormai si ammazza anche così. Si dice ci fosse il business delle sale da gioco e delle macchinette slot che Mario aveva più volte attaccato, ma è solo un'ipotesi, nulla è ancora chiaro. Intanto passano i giorni, il silenzio incombe  e l'indifferenza pure.

Perché la violenza fa paura e intimorisce, come non dovrebbe, perché poi ti costringe a stare zitto, a scappare, mentre passi e abbassi lo sguardo e accetti tutto.

La strategia del terrore 

Alcune cose sono poi così eclatanti che non puoi proprio accettarle. Ti ritrovi davanti a unos chermo a imprecare, poi magari te la prendi con altri che con quel terrore non c'entrano nulla. Perché questo fa il sangue quando arriva così, terrorizza e generalizza. Soprattutto quello versato da apparente terrorismo islamico, che ha deciso di bagnare di rosso uno dei giorni più importanti del Ramadan. Le immagini di quei corpi a terra resteranno impresse per tanto tempo nella mia mente, quei turisti vittime di quella spiagga maledetta nell’albergo turistico Imperial Marhabaa. I circa 28 morti e 36 feriti di Sousse in Tunisia, cittadini britannici, tedeschi e belgi, resteranno solo dei numeri, numeri ammazzati a colpi di kalashnikov sotto l'ombrellone, per non si sa quale colpa, la rabbia di quell'assassino che non si sa se ha agito da solo, poi subito ucciso dalle forze di sicurezza tunisine. 
Poi l'attacco di Yassin Salhi,  in una fabbrica di prodotti chimici a Saint-Quentin-Fallavier, nel sud della Francia, con l'uomo decapitato, identificato come il datore di lavoro di Salhi. Nella continua follia in un maledetto pomeriggio di un giorno da cani, tutto ci sembra collegato, forse tutto lo è, come le 25 persone morte e le 202  rimaste ferite nell’attentato dell'IS contro la moschea sciita di Kuwait City, in cui, si è rischiata una strage ancora più ampia con le circa duemila persone riunite per la preghiera del venerdì. Ancora una volta una cintura esplosiva e un uomo che decide di farsi esplodere.

A seguire l'inferno di Kobane, con gli scontri tra le milizie curde e i jihadisti che, secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, hanno causato la morte (per mano dello Stato islamico) di oltre 160 civili, sia a Kobane, sia nel vicino villaggio di Brak Bootan. Parte così l'ennesimo esodo di circa sessantamila persone, costrette ad abbandonare le proprie case, in cerca di salvezza, altri migranti, altri rifugiati che ci rifiuteremo d'accogliere, oggi più di ieri.

È proprio vero che la violenza chiama odio e trasforma tutto in un circolo vizioso.

Per la Somalia è ancor più difficile trovare un termine adeguato, viosto che neanche più l'inferno sembra adatto. L'ennesima strage, questa volta di soldati del Burundi, oltre 50, uccisi in un attentato sferrato dai miliziani di al-Shabaab contro la base militare della missione dell'Unione Africana in Somalia a sud di Mogadiscio. La città di Samia. Tutto torna purtroppo. Anche qui un attentatore suicida che si fa saltare in aria a bordo di un'autobomba.

Libertà di famiglia

 

Poi c'è quella libertà che ti spinge a cercare la propria via alla felicità, il proprio modo di stare al mondo che non può essere limitato da punti di vista, fin troppo piccoli e chiusi. In settimana in Italia si è manifestato per la famiglia tradizionale, perché c'è una morale che vuole imporre cosa deve significare famiglia e cosa no. Perché c'è chi decide cosa è naturale e cosa invece è abominio, innaturale e non meritevole di riconoscimento. Come se la felicità debba essere riconosciuta. Quindi mentre in Italia si buttavano già fiumi d'ignoranza, tra famiglia vera e ipotesi di ideologie gender, negli Stati Uniti la Corte suprema stabiliva la liceità dei matrimoni gay davanti alla legge, in tutto il paese. 
Restiamo uno di quei pochi Paesi dell'occidente che non riesce a scrollarsi di dosso il peso di un passato antistorico. Perché ancora oggi negare quei diritti è una lotta inutile che la stessa storia condannerà inesorabilmente.

La libertà è più forte di tutto, oltre ogni violenza, ogni discriminazione risorge sempre, per questo la dedica di oggi va a chi non riesce a stare zitto, perché proprio non ce la fa ad accettare la violenza come unica risposta e per questo, rischia anche la propria vita.


Cosa ne pensi dell'articolo? Puoi farmelo sapere lasciando un commento nel form in basso. Inoltre se ti è piaciuto, puoi condividerlo sui tuoi social network preferiti. Basta un semplice click.

Nessun commento:

Posta un commento