giovedì 22 dicembre 2016

Dividi e impera e vinci due volte: Almaviva verso il licenziamento di 1666 persone a Roma e rimanda a marzo quelli di Napoli

Nella notte la conclusione della vertenza Almaviva con la divisione imprevista del fronte sindacale che porta alla conferma dei licenziamenti romani con 1666 lavoratori in Naspi, mentre Napoli rimanda tutto a marzo.

Nelle strategie di guerra si dice che il primo obiettivo è quello di dividere il fronte nemico, perché un nemico unito è più duro da battere, se diviso, invece, diventa più vulnerabile. 

Nella vertenza Almaviva si è concretizzata questa situazione.

Di fronte alla proposta governativa di congelare i licenziamenti fino a marzo, con la volontà di trattare con l'azienda per la riduzione del costo del lavoro e controllo individuale, i rappresentanti sindacali di Roma hanno deciso per il no alla firma, mentre le rappresentanze di Napoli hanno firmato per salvaguardare l'occupazione e prendere tempo fino a  marzo. Di conseguenza è confermata la chiusura del sito di Roma con 1600 lavoratori in Naspi, mentre sono congelati i licenziamenti a Napoli, rimandati a marzo senza un eventuale accordo tra le parti.



Un notte durata tre giorni e una trattativa andata avanti per settimane, senza sosta e senza possibilità di avvicinare le parti. Con l'azienda Almaviva ferma inamovibile sulle motivazioni che l'hanno portata ad aprire la procedura di licenziamenti nei territori di Napoli e Roma; con i sindacati anche loro fermi nel non voler trattare su possibilità di riduzione dei livelli salariali dei lavoratori e di opzioni sul controllo individuale in deroga al contratto nazionale. Tra le due parti, il governo con la vice ministro Teresa Bellanova che oltre ad ammortizzatori sociali e a rimandi, in sostanza non aveva proposte concrete per dirimere la problematica; se non rivendicare un azione di governo fin troppo inefficace per contrastare la crisi di settore.

Una situazione bloccata e paradossale nel cui mezzo c'è il destino dei lavoratori, 2560 lavoratori arrivati allo stremo, con la speranza che la notte del 21 dicembre fosse l'ultima notte prima dell'esito definitivo, quello che nel bene e nel male doveva stabilire il futuro di ogni singola persona.
In realtà ha vinto la politica ed è passata la linea della vice ministro  di prendere tempo e rinviare, come già aveva fatto a maggio.

Cosa prevede l'accordo?


Per ora documenti ufficiali non ce ne sono, ma da quello che voci attendibili dicono, si è accettato di congelare i licenziamenti fino a marzo e di avviare poi un tavolo di trattativa dal 30 marzo, al 7 aprile per trovare un accordo sui punti inseriti e richiesti dall'azienda: riduzione del costo del lavoro e controllo a distanza. Durante questo periodo oltre alle verifiche istituzionali, in concertazione con le parti sociali e l'azienda, dal 31 dicembre partirà la cassa integrazione per i lavoratori di Napoli che sarà a zero ore per il mese di gennaio, al 70% per il mese di febbraio e al 50% per il mese di marzo. Ad aprile se si troverà un accordo o se la situazione sarà cambiata si ripartirà con il lavoro, altrimenti automaticamente ci saranno i licenziamenti.




Cosa succede a Roma?


I sindacati romani hanno votato no all'accordo. Hanno scelto di non attendere oltre e farla finita con questa situazione di incertezza, che costituiva un prolungamento della instabilità e una certificazione per iscritto nella trattativa, della discussione della riduzione del costo del lavoro e del controllo. Sono quindi confermate le procedure di licenziamento per i lavoratori di Almaviva Roma, ancora una volta l'azienda è riuscita a dividere le sedi e a ottenere, come forse sperava, l'eliminazione del centro più grande e più costoso.

Oltre a una sconfitta dei lavoratori, che si trovano divisi, indeboliti, senza certezze e in buona parte licenziati. Questa vertenza sancisce la sconfitta delle strategie delle sigle sindacali apparsi sempre divisi, dai pochi argomenti e dal forte scollamento tra segreterie nazionali e locali. La lotta sindacale aveva già accettato la certificazione della crisi aziendale, quando si partì per rifiutare qualsiasi proposta di ammortizzatore e poi si accetto il proseguimento della solidarietà con la previsione della cassa integrazione. Ora invece, dopo aver gridato ai quattro venti l'indisponibilità assoluta a parlare di tagli dei già miseri stipendi dei lavoratori e del controllo a distanza in deroga, i sindacati si trovano ad accettare una proposta che rimanda ulteriormente la situazione, nella speranza che dall'alto cali qualcosa che in mesi di confronti aziendali e governativi non è arrivato e che soprattutto verbalizza l'oggetto della trattativa su cui si baseranno le poche possibilità perché la sede di Napoli resti aperta: controllo a distanza e riduzione del costo del lavoro. 

Base di trattativa che non potrà essere ricontrattata dai sindacati, che si troveranno o a dover accettare tagli e controllo, oppure dovranno accettare i licenziamenti. Un dietro front su tutta la linea, basato sulla necessità di prendere tempo ed evitare i licenziamenti ora. Quello che non hanno voluto attendere i sindacati romani. Fedeli alla linea del non trattare sui diritti dei lavoratori, ma che ora si trovano sulle spalle il peso dei licenziamenti. Peso imposto dalla decisione alquanto strana e paradossale del governo che ha deciso di accettare che la questione fosse trattata diversamente tra le due sedi. Per l'ennesima volta, dopo che anche Palermo era stata stralciata dalla procedura in ottobre.

Napoli non sembra seguire lo stesso destino della sede siciliana, perché la questione è solo rimandata in primavera, quando si tornerà a parlare di licenziamenti anche in Campania.

Licenziamenti che si trovano sulla coscienza di tante persone che magari su internet festeggiano il buon esito della trattativa (ma per chi? Visti l'enorme costo sociale ed economico della vertenza), ma che per anni non hanno fatto nulla per sanare un settore, quello dei call center ormai al collasso. Soprattutto, perché per anni non hanno fatto altro che indebolire i sindacati e delegittimarli, ridurre i diritti dei lavoratori e fare affari con le lobby, causa dei mali aggravanti su tutto il mercato.

Le responsabilità sono anche nei confronti dell'azienda Almaviva che ha giocato e continua a giocare sulla vita dei lavoratori e che riceverà ancora soldi pubblici per posticipare licenziamenti che considera inevitabili. 

Le responsabilità sono anche sulle spalle dei lavoratori che accettano tutto questo, perché fin quando ci sarà qualcuno disposto a lavorare con meno diritti e con uno stipendio sotto il limite della povertà, allora i padroni faranno sempre il loro comodo.



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