giovedì 3 luglio 2014

La ricerca del tempo perduto



I pensieri scappano e la mente resta contorta in spazi di vuoto incomprensibili.
Non riesci a capire ciò che ti sta intorno, intanto digiti, digiti e ancora con le dita furiosamente su questi tasti. Avresti voglia di scrivere di getto tutta la notte, sì l'hai sempre fatto; caffè e tastiera.
Notti insonni al caldo afoso. Senza un fine e senza una meta. Di cosa poi non si sa. Solo così riesci a riflettere. Tu più contorto della realtà che ti circonda, sempre a mille velocità e senza alcun rispetto per chi non riesce a stare al passo.
È forse questo il torto più grande della società moderna, l'illusione che vivere sia rincorrere la velocità a qualsiasi costo, infischiandosene del ritmo naturale della vita.
L'importante è fare, agire, muoversi, reinventarsi in continuazione per non restare fermi al passato. Quel passato che si dimentica sempre tanto in fretta e alla fine, stremato dopo tanto correre, resti fermo completamente esausto e crolli senza più energie.
Ti lasci andare a colpi d'inedia che lenta ma inesorabile ti uccide. Resti lì, privo di qualsiasi idea.
Fermo, osservi il mondo correre a tripla velocità. Non ne fai più parte. Pronto per la fine, cerchi una soluzione che possa raddrizzare la tua realtà ormai offuscata e pensi. 
Sempre fermo. Così mentre ti fai scappare via tutto, bloccato da quella tua assurda inettitudine, scrivi. Di notte.    
          Perché sai che solo quando è scuro riacciuffi un po' della tua essenza, quella a mille colori. 
Quei colori che, come il libro che hai davanti, sono sbiaditi. Solo al buio nei momenti più impensabili riesci a far uscire.
Di giorno invece, alla luce del sole, il grigio offusca tutto sotto mille nuvole.
Per questo scrivi, perché ricerchi quei colori perduti.
E ti butti alla loro ricerca.
Per fermare la corsa del tempo che ti travolge verso un grigio inesorabile.
Anarcolessia.


Vista sbiadita da Budapest

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