La forte crisi demografica richiede che il bisogno di nuove nascite possa incrementare la popolazione giovane che in futuro potrà pagare le pensioni ai più vecchi, le tasse e il debito pubblico che continua a essere un fardello per questo Paese.
Il Ministero della salute ormai lo saprete tutti ha deciso così di sensibilizzare le donne a non perdere il treno della fertilità, lanciando il tristemente noto #FertilityDay il 22 settembre.
Quello che molti commentatori hanno definito come un imbarazzante passo falso e che in sostanza è qualcosa di più.
Per poter trovare una definizione adeguata del fertility day, si può citare una esilarante scena di Paolo Villaggio in "Il primo tragico Fantozzi" che definiva (ingiustamente) il film "La corazzata Potemkin".
La campagna del ministro della salute Beatrice Lorenzin il 22 settembre,
prevede una giornata in cui saranno previsti eventi tutti finanziati da soldi pubblici per offrire alle persone informazioni sulla
pianificazione familiare e incoraggiare la genitorialità.
La campagna che sta riscuotendo l'effetto contrario ha prodotto alcuni slogan che possiamo definire aberranti. Dodici immagini pubblicitarie che sono diventate
subito virali per motivi del tutto contrari rispetto al loro scopo.
Alcune anche con un tono minaccioso:
“La bellezza non ha età. La fertilità sì”
“La fertilità è un bene comune”
e tante altre come “La fertilità maschile è molto più vulnerabile di quanto non sembri” con l’immagine di una buccia di banana che
sta marcendo, oppure “Genitori giovani. Il modo migliore
per essere creativi”.
Intanto, nonostante le belle parole e gli slogan in Italia siamo a un tasso di disoccupazione giovanile di 40.3% il più alto della zona Euro. La creatività con la disoccupazione, la precarietà e il capire come portare avanti quella famiglia, non c'entra tanto.
“La bellezza non ha età. La fertilità sì”
“La fertilità è un bene comune”
Intanto, nonostante le belle parole e gli slogan in Italia siamo a un tasso di disoccupazione giovanile di 40.3% il più alto della zona Euro. La creatività con la disoccupazione, la precarietà e il capire come portare avanti quella famiglia, non c'entra tanto.
Un vero e proprio insulto che colpisce tutti, chi non vuole procreare, chi non ci riesce e chi vorrebbe ma non ha lavoro.
"Nel 1970 il tasso medio di fertilità nell’Unione europea era di 2,4 bambini per ogni donna, crollato secondo i dati dell’Ocse a 1,5 nel 2013. Sempre secondo l’Ocse, è necessario un tasso di 2,1 per garantire una popolazione stabile, sotto questa soglia i paesi con una popolazione che invecchia, dei servizi sociali generosi e un’economia sclerotica (in altre parole, l’Italia) si troveranno in difficoltà."
Le campagne comunicative sulla fertilità richiamano epoche passate, da ventennio o da regime oscurantista e oltre che essere storicamente inefficaci sono anche fortemente irritanti e tristi.
Perché alcuni giudicheranno queste polemiche inutili, in realtà dietro questa campagna c'è una decisa volontà politica.
Alle numerose polemiche ha subito prontamente risposto Matteo Renzi che è intervenuto a difesa del Fertility day.
Se vuoi creare una società che scommette sul futuro e fa figli devi creare le condizioni strutturali: gli asili nido, la conciliazione col lavoro. Le persone fanno figli se possono finalmente avere un lavoro a tempo indeterminato, investire su un mutuo, avere l'asilo nido sotto casa. Questa è la vera campagna. Non conosco nessuno dei miei amici che fa un figlio perchè vede un cartellone pubblicitario. Conosco quelli che mi dicono 'Come faccio se non ho i nonni, se sono precario...
La risposta tra il comico e il furbo del primo ministro è proprio quella di fare proprie le motivazioni dei maggiori critici alla campagna.
Si tranquillizzi Renzi, nessuno pensa che una coppia possa decidere di fare i figli se legge un cartellone o glielo dica il ministro Lorenzin. Non fare figli per molti spesso non è una scelta.
Immagino, come possa sentirsi una donna dinnanzi al fatto che uno Stato ponga una tale enfasi sulla maternità da un lato e dall'altro si trovadi fronte a lavori con sempre meno diritti, dove il demansionamento è dietro l'angolo, si continua a lavorare contro tanti pregiudizi radicati.
Perché non è un residuo del passato il fenomeno delle dimissioni in bianco, che centinaia di migliaia di donne sono state costrette a firmare così da permettere ai loro datori di lavoro di licenziarle senza incorrere in penalità in caso di gravidanza. Ancora oggi poi l'aborto deve scontrarsi con tanti medici obiettori che rendono difficoltoso e umiliante l’accesso all’interruzione di gravidanza, sebbene sia garantito dalla legge.
Il primo ministro parla di diritti, di scommesse sul futuro (ah benedette parole che vengono portate via dal vento), quando il jobs act svilisce tutti i diritti e dietro un mascherato contratto a tempo indeterminato , rende piùfacile l'utilizzo dei lavoratori come strumento di risoluzione delle crisi. Per fare figli servirebbero più asili nido, più mense scolastiche, più servizi, salari più alti, meno precarietà e diritti più garantiti e non solo parole ma anche misure reali.
Che dire di tutti quei bambini figli di immigrati che non sono considerati cittadini italiani, ma che continuano a essere considerati estranei.
Una campagna decisamente sbagliata in cui la donna, come scrive giustamente Andrea Scanzi su Il Fatto, viene ridotta sostanzialmente a "involucro con data di scadenza" in cui "la fertilità è un dovere, l'infertilità una colpa" e che nasconde la totale incapacità del governo di affrontare la denatalità e la conseguente diminuzione di contributi al già gravemente impoverito servizio di wellfare pubblico.
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