sabato 13 agosto 2016

Serie A, storia di un progetto mancato nel declino del Milan e di Berlusconi

Se Anarcolessia è una finestra sul mondo che mi circonda, da questa finestra non può non mostrarsi lo sport. Ti accorgi a un certo punto che non c'è nemmeno un post che tratti di sport. Quindi di tanto in tanto inizierò a scriverne, chi legge si abitui.



Sin da piccolo ho nella mente con grande divertimento il calcio d'estate, praticamente uno sport a parte, in cui un po' tutti ci nutrivamo di illusioni grazie ad amichevoli estive dell'importanza del piffero, alle chiacchiere di mercato e al sogno che bene o male tutti erano campioni in estate. Questo è stato il bene o il male di essere cresciuti negli anni novanta, il periodo d'oro della Serie A e del calcio italiano e forse l'inizio della fine. Ricordo gli anni di vacche grasse quando i club italiani erano dominatori di coppe e il campionato se lo giocavano le cosiddette "sette sorelle". Sogni, illusioni, castelli di carta, un po' come quelle ricchezze su cui si appoggiavano quelle squadre, fatte di plusvalenze virtuali, finanze creative e bilanci pazzi. Quegli anni sono finiti e finiti sono i protagonisti di quel periodo.
Gli Agnelli sono rimasti nel nome ma ormai non ci son più, la Juve è più una Holding, l'unica che da qualche anno ha iniziato un tipo di gestione lungimirante e competitivo. Tanzi e Cragnotti son finiti male, facendo del male; Cecchi Gori ormai ex imprenditore, è un po' ex in tutto; anche la Roma non è più dei Sensi e le milanesi son finite in Asia in mano ai cinesi.



Serie A2

Il calcio malato con cui son cresciuto, quello che spendeva e si indebitava fino a gioco forza far impazzire i bilanci, non esiste più. O meglio esiste, ma la Serie A lo guarda da spettatore, non ha né forza economica, né attrattiva per emulare i giganti stranieri. Gli affari di questa estate non fanno testo. Il giocattolo è passato di mano. L'ultimo dei proprietari del mio calcio anni 90 a capitolare è stato Silvio Berlusconi, l'uomo che più di tutti ha accelerato il cambiamento del calcio italiano, forzando i grandi investimenti, acquistando campioni con ingaggi miliardari, spingendo per la deriva verso le tv. Che lo sia ami, o lo si odi, Berlusconi ha profondamente cambiato il calcio italiano, acquistando grandi campioni e costruendo una squadra a tratti imbattibile. Dall'altro lato ha dato il via a una lunga parabola che ha visto dei picchi di crescita, ma che sta ora conoscendo un declino inesorabile. Il calcio voluto da Silvio Berlusconi è fallito. In fondo tutto questo non è stata che il simbolo di un intero Paese, che negli anni 90 cercava di guardare da un'altra parte mentre tutto accadeva. Una grande metafora d'Italia e dei suoi uomini "migliori". Un po' come quegli imprenditori che investono, spendendo miliardi, che sfruttano il momento, cavalcano l'onda ma poi sono incapaci di affrontare le nuove sfide. 

La Parabola di Silvio



La parabola che ha preso il via nei "meravigliosi" anni '80, gli anni del campionato più bello del mondo e che ha conosciuto l'apice nei ruggenti anni '90, è esplosa in tutta la sua inconsistenza negli anni 2000. Un'epoca di spese folli e di grandi successi sportivi. Berlusconi ha utilizzato il Milan per costruire la sua immagine, lo sport che ci riesce a far smuovere dal torpore quotidiano non poteva che essere la chiave per entrare nei cuori e nelle teste di milioni d'Italiani. Ora è tutto finito, anni di successi sportivi non possono però far passare in secondo piano quello che, se guardato da un punto di vista imprenditoriale (quello che Berlusconi si è sempre vantato di essere) un fallimento nel lungo periodo. Perché sarà brutale dirlo, il giocattolo Milan gli è scoppiato tra le mani, se nel momento delle grandi spese, quando far valere la forza economica era l'unica cosa che spostava gli equilibri, era stato forte, quando poi il gioco è diventato più grande e difficile, non è riuscito a reggere. In decenni di gestione non è riuscito a costruire nulla che potesse dare una solidità extra sportiva alla squadra e il confronto con le grandi del calcio europeo è impietoso. Nessuno stadio di proprietà, diritti all'estero inesistenti e una macchina organizzativa e di merchandising imparagonabili a grandi marchi come Manchester United e Real Madrid, capaci di fatturare indipendentemente dai risultati sportivi.
La limitatezza della società si è vista nella scelta dei dirigenti, gli stessi in trent'anni di gestione, poi sostituiti dai figli. Una società arcaica esplosa in una grande bolla di sapone.

Fine della storia


Un po' come Mediaset/Fininvest e l'impero delle tv, ormai fuori da internet e ai margini delle payperview, privo di alcun profilo internazionale. Frutto dello sfruttamento di una posizione dominante in anni di predominanza politica. Milan e Fininvest dallo stesso destino, nel declino inesorabile di Silvio Berlusconi, fallimenti politici e sportivi segno di quanto la festa sia realmente finita.

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